Relatore per la II Commissione
Data:
Lunedì, 17 Ottobre, 2016
Nome:
Giuseppe Berretta
A.C. 4008
Il provvedimento, approvato dal Senato il lo agosto 2016 e non modificato dalle Commissioni in sede referente, mira particolarmente al contrasto del fenomeno del cosiddetto «caporalato» ovvero dell'intermediazione illegale e dello sfruttamento lavorativo in agricoltura, che coinvolge, secondo stime sindacali e delle associazioni di volontariato, circa 400.000 lavoratori in Italia, sia italiani sia stranieri, come riferito nella relazione all'Assemblea in Senato, ed è diffuso in tutte le aree del Paese e in settori dell'agricoltura molto diversi, dal punto di vista della redditività.
Il testo è volto a garantire una maggior efficacia all'azione di contrasto del caporalato, introducendo significative modifiche al quadro normativo penale e prevedendo specifiche misure di supporto dei lavoratori stagionali in agricoltura.
Le principali novità dell'intervento normativo riguardano: la riscrittura del reato di caporalato (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro), che introduce la sanzionabilità anche del datore di lavoro; l'applicazione di un'attenuante in caso di collaborazione con le autorità; l'arresto obbligatorio in flagranza di reato; il rafforzamento dell'istituto della confisca; l'adozione di misure cautelati relative all'azienda agricola in cui è commesso il reato; l'estensione alle persone giuridiche della responsabilità per il reato di caporalato; l'estensione alle vittime del caporalato
delle provvidenze del Fondo antitratta; il potenziamento della Rete del lavoro agricolo di qualità, in funzione di strumento di controllo e prevenzione del lavoro nero in agricoltura; il graduale riallineamento delle retribuzioni nel settore agricolo.
Mi limiterò a illustrare i primi sette articoli che compongono il testo, in quanto si tratta delle disposizioni che attengono principalmente alla competenza della Commissione Giustizia, mentre sulle restanti disposizioni, che rientrano nella competenza della XI Commissione, si soffermerà il relatore per tale Commissione, onorevole Miccoli.
In particolare mi soffermerò sulle questioni sorte in Commissione in merito alla modifica dell'articolo 603-bis del codice penale, rimandando alla relazione scritta per le altre parti del testo rientranti comunque nella competenza della Commissione giustizia.
Preliminarmente vorrei sottolineare già in questo momento che le critiche al testo approvato dal Senato sono superabili in via interpretativa anche facendo ricorso alla stessa giurisprudenza della Corte di cassazione in relazione ad elementi della fattispecie, quali lo sfruttamento e lo stato di bisogno.
L'articolo 1 detta una nuova formulazione dell'articolo 603-bis del codice penale relativo all'intermediazione illecita e allo sfruttamento del lavoro, che attualmente punisce il cosiddetto «caporalato».
Il nuovo articolo 603-bis prevede, infatti, al primo comma, una prima ipotesi che riscrive la condotta illecita del caporale ovvero di chi recluta manodopera per impiegarla presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno. È soppresso il riferimento allo «stato di necessità». Rispetto alla fattispecie vigente, è introdotta una fattispecie-base che prescinde da comportamenti violenti, minacciosi (diventati circostanze aggravanti) o intimidatori: non compare più il richiamo allo svolgimento di un'attività organizzata di intermediazione né il riferimento all'organizzazione dell'attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento.
Inoltre, è sanzionato il datore di lavoro che utilizza, assume o impiega manodopera reclutata anche mediante l'attività di intermediazione, sfruttando i lavoratori ed approfittando del loro stato di bisogno. Tale fattispecie-base del delitto di intermediazione illecita è punita con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 500 a 1.000 euro per ogni lavoratore reclutato.
Il secondo comma del nuovo articolo 603-bis prevede un'aggravante caratterizzata dall'esercizio di violenza o minaccia. Le sanzioni rimangono invariate rispetto a quanto ora previsto dalla fattispecie-base: reclusione da 5 a 8 anni e multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.
Il terzo comma del nuovo articolo 603-bis riguarda le condizioni ritenute indice di sfruttamento dei lavoratori.
Per quanto concerne la fattispecie criminosa di cui all'articolo 603-bis n. 2 del codice penale, va rilevato che esse è stata oggetto di critiche da parte di coloro che ritengono che possa essere applicata, ad esempio, anche a casi di singole e saltuarie violazioni delle norme sulla sicurezza del lavoro o degli orari di lavoro, si è fatto più volte riferimento al mancato utilizzo delle prescritte scarpe da lavoro. Così non è.
In primo luogo, per quanto attiene alla nuova descrizione degli elementi oggettivi del reato, si fa presente che il provvedimento normativo in esame ha lo scopo di superare i dubbi interpretativi evidenziati in dottrina in ordine alla possibilità di estendere l'incriminazione anche al datore di lavoro per le condotte di sfruttamento dei lavoratori con approfittamento dello stato di bisogno.
Proprio per eliminare tali criticità interpretative, la formulazione proposta dal disegno di legge distingue la condotta di chi «recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori» (articolo 603-bis, comma 1, n. 1) da quella di chi «utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l'attività di intermediazione di cui al n. 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno» (articolo 603-bis, comma 1 n. 2).
Così espressamente specificando che integra reato sia la condotta di mediazione illecita tra domanda e offerta di lavoro, sia quella di sfruttamento del lavoro stesso.
L'attribuzione di rilevanza penale allo sfruttamento della manodopera anche in assenza di attività di cosiddetta caporalato colma una lacuna dell'attuale sistema penale, che lascia privi di tutela i lavoratori che non siano immigrati irregolari.
L'articolo 22 comma 12-bis del Testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998) infatti, punisce con sanzioni penali aggravate, il datore di lavoro che occupi alle proprie dipendenze – non importa se avviati al lavoro mediante «caporale» o meno – lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno ovvero con il permesso scaduto, revocato o annullato, quando i lavoratori siano sottoposti alle condizioni di particolare sfruttamento di cui all'attuale terzo comma dell'articolo 603-biscodice penale. E allora, il lavoratore straniero irregolare, che sia sfruttato dal datore di lavoro in modo da essere esposto a situazioni di grave pericolo, è tutelato con una previsione penale che incrimina il datare di lavoro, a prescindere dall'esistenza o meno a monte di un'illecita intermediazione, mentre il lavoratore non straniero irregolare, ma parimenti sfruttato, non trova oggi una adeguata considerazione se non per il caso in cui sia stato avviato al lavoro in forza detta mediazione del cosiddetto caporale. Si comprende bene così come sia importante rimodellare la previsione incriminatrice dell'articolo 603-bis codice penale per rimediare ad una irragionevole limitazione del suo ambito operativo.
A coloro che criticano la nuova formulazione del reato probabilmente sfugge un dato di fondamentale importanza: gli elementi che caratterizzano la condotta, in entrambi i casi, sono lo sfruttamento del lavoratore e l'approfittamento dello stato di bisogno del medesimo, quale modalità attraverso cui si realizza lo sfruttamento stesso.
Le nozioni di sfruttamento e di stato di bisogno debbono dunque essere intese in stretta connessione tra loro, costituendo la situazione di vulnerabilità di chi versa in stato di bisogno il presupposto della condotta approfittatrice del soggetto agente, attraverso la quale realizzare lo sfruttamento.
Il concetto di sfruttamento, pertanto, deve essere ricondotto a quei comportamenti, anche se posto in essere senza violenza o minaccia, idonei ad inibire e limitare la libertà di autodeterminazione della vittima mediante l'approfittamento dello stato di bisogno in cui versa.
Al riguardo la Corte di cassazione (C.C. Sez 5, sentenza n. 14591 del 4.4.2014) ha avuto modo di chiarire che il delitto di cui all'articolo 603-bis c.p. «è finalizzato a sanzionare quei comportamenti che non si risolvono nella mera violazione delle regole poste dal decreto legislativo n. 276 del 2003, senza peraltro raggiungere le vette dello sfruttamento estremo, di cui alla fattispecie prefigurata dall'articolo 600 c.p., come confermato dalla clausola di sussidiarietà con la quale si apre la previsione».
Si consideri poi che la nozione di sfruttamento implica concettualmente una compressione, meglio: una violazione, temporalmente apprezzabile dei beni interessi tutelati. Non si sfrutta il lavoratore con un unico singolo atto, ma attraverso condotte che ne conculcano per una durata significativa i diritti fondamentali che vengono in gioco nel momento in cui viene prestata l'attività lavorativa.
Occorre che la condotta datoriale si sviluppi nel tempo, che integri, appunto, una situazione di fatto duratura. Per questa ragione non v’è necessità di specificare, nella parte dedicata agli indici di sfruttamento, che la reiterata violazione, la reiterata corresponsione di retribuzione sproporzionata non possano consistere nella commissione di quei fatti anche soltanto per due volte. Occorre leggere il «reiterate» unitamente all'elemento oggettivo centrale dello sfruttamento che, per sua struttura di disvalore, non può consumarsi con singoli occasionali atti. Specularmente alla nozione di sfruttamento, quella di stato di bisogno non si identifica, secondo l'interpretazione offerta anche dalla giurisprudenza in particolare con riferimento alla circostanza aggravante del delitto di usura, con il bisogno di lavorare per vivere, ma presuppone «uno stato di necessità tendenzialmente irreversibile, che, pur non annientando in modo assoluto qualunque libertà di scelta, comporta un impellente assillo, tale da compromettere fortemente la libertà contrattuale» della persona.
Un altro punto da chiarire assolutamente in quanto ha suscitato una serie di equivoci, dovuti anche alla mancata conoscenza della legislazione vigente gli indici di sfruttamento, già previsti dal vigente articolo 603-bis.
Gli indici sono «sintomi», indizi che il giudice dovrà valutare, se corroborati dagli elementi di sfruttamento e approfittamento dello stato di bisogno e non condotte immediatamente delittuose.
Si tratta della stessa situazione che accade oggi quando la guardia di finanza entra in un'azienda per violazioni tributarie e trova i libri contabili non in ordine: quello è un indizio (indice), che non integra di per sé il reato di frode fiscale. Le condizioni richiamate dall'articolo, in altre parole, costituiscono mero indicatore dell'esistenza dei fatti oggetto di incriminazione, di cui il giudice deve tenere conto nell'accertamento della verità, ma certamente non si identificano con gli elementi costitutivi del reato. Esemplificando, la violazione delle disposizioni in tema di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro non è di per sé capace di integrare la condotta del delitto, occorrendo comunque che il lavoratore risulti sfruttato e che del suo stato di bisogno il datore di lavoro abbia profittato.
Il legislatore, con l'elencazione degli indici di sfruttamento, semplicemente agevola i compiti ricostruttivi del giudice, orientando l'indagine e l'accertamento in quei settori (retribuzione, condizioni di lavoro, condizioni alloggiative, ecc.) che rappresentano gli ambiti privilegiati di emersione di condotte di sfruttamento e di approfittamento.
A tal proposito, si è detto molto opportunamente in dottrina che gli indici svolgono una funzione di «orientamento probatorio» per il giudice: ed è per tale ragione che non ha fondamento il rilievo critico circa l'asserito difetto di determinatezza della norma che li descrive o circa la loro presunta incompletezza.
In particolare, il testo del disegno di legge ha rivisitato la disposizione relativa alla sussistenza di violazioni in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, espungendo l'inciso finale «tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l'incolumità personale». È bene chiarire subito che l'eliminazione di tale inciso non indebolisce la forza selettiva della norma incriminatrice, ossia la sua capacità di qualificare soltanto le condotte realmente meritevoli di punizione.
Se, infatti, si tiene presente che le norme sugli indici di sfruttamento non descrivono il fatto tipico e non riguardano dunque le condotte costitutive del delitto, si comprende pienamente che non c’è alcun pericolo che la modifica possa portare ad un eccesso di penalizzazione, colpendo anche comportamenti dei datori di lavoro che non si segnalino per un particolare disvalore.
In questo senso, anzi, l'eliminazione del riferimento al pericolo per salute, sicurezza ed incolumità personale giova a evitare il rischio di un fraintendimento interpretativo: se si carica la disposizione di orientamento probatorio di un elemento che autonomamente denota un significativo disvalore, si può ingenerare l'equivoco che essa contenga almeno una parte della condotta costitutiva del reato, data dallo sfruttamento della manodopera.
Si evita, insomma, il rischio che si possa ritenere la sussistenza dello sfruttamento per il solo fatto che sia stata violata una disposizione in materia di sicurezza o igiene sul lavoro, quasi che la contravvenzione ad una delle tante disposizioni volte appunto a prevenire rischi per la sicurezza dei lavoratori, possa integrare la condotta, di ben altro disvalore penale, dello sfruttamento di manodopera.
Per quanto attiene alle altre disposizioni del testo rientranti nella competenza della Commissione giustizia, rimandando alla relazione scritta che chiedo di depositare, in questa sede mi limito a rilevare che l'attenuante della collaborazione (pena diminuita fino a due terzi) utilizza il modello già sperimentato nella normativa anticorruzione e in quella sugli eco-reati. I reati di caporalato, corruzione e disastro/inquinamento ambientale sono infatti fenomeni accomunati, sotto il profilo delle indagini e del contrasto, da una fitta rete omertosa che ne rende difficile l'emersione e la scoperta. L'attenuante è strumento di rottura dell'omertà diretto a incoraggiare chi aiuta a scoprire certe realtà.
Quanto al controllo giudiziale, è ripreso ed è in sintonia con quanto previsto in uno dei provvedimenti già approvati, riguardanti l'Anac, e nella riforma del codice antimafia (già approvata dalla Camera e ora al Senato), relativamente alle aziende confiscate alla criminalità organizzata: risponde al principio che l'intervento dello Stato non può e non deve coincidere con la chiusura dell'azienda. Il ripristino della legalità, anzi, deve accompagnarsi al rilancio dell'azienda e al mantenimento dei posti di lavoro.
L'articolo 2 del disegno di legge aggiunge al codice penale gli articoli 603-bis.1 e 603-bis.2, relativi ad attenuanti del delitto di caporalato e ad ipotesi di confisca obbligatoria. L'articolo 603-bis.1 ridefinisce per il reato di caporalato, rispetto alla disciplina vigente dell'articolo 600-septies.1, relativa a tutti i delitti contro la personalità individuale, l'ipotesi di circostanza attenuante specifica. L'attenuante, nella nuova formulazione, concerne i soggetti che si siano efficacemente adoperati per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove dei reati o per l'individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite.
Sostanzialmente, rispetto all'attuale attenuante di cui all'articolo 600-septies.1: si introduce l'ipotesi di elementi utili «per il sequestro delle somme o altre utilità»; si precisa – eliminando il riferimento al «concorrente» – che l'attenuante è riconosciuta nei confronti di chiunque collabori; la più specifica definizione della condotta che dà luogo all'attenuante appare conseguenza della riformulazione del reato e della sua estensione al datore di lavoro (si pensi al caso dell'imprenditore coinvolto in procedimento penale per caporalato che possa riferire notizie utili alle indagini su altri episodi di intermediazione illecita relativi ad altre imprese o fruitori di manodopera); aumenta lo sconto di pena che diventa da un terzo a due terzi (attualmente è da un terzo alla metà).
L'articolo 603-bis.1 rinvia poi alle norme previste dall'articolo 16-septies del decreto-legge n. 8 del 1991, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 82 del 1991, che prevedono la revisione della sentenza quando le circostanze attenuanti sono state applicate per effetto di dichiarazioni false o reticenti. L'applicazione dell'attenuante specifica di cui all'articolo 603-bis.1 esclude l'applicazione della citata attenuante, meno favorevole, prevista dal citato articolo 600-septies.1 per chi si adoperi per evitare di portare il reato a conseguenze ulteriori o aiuta la magistratura nella cattura dei concorrenti. L'articolo 603-bis.2 inserisce il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro tra i reati per i quali (in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti) è obbligatoria – anziché un'ipotesi valutata dal giudice – la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato. La novella fa riferimento anche alla confisca obbligatoria delle cose che siano il prezzo, il prodotto o il profitto del reato – ovvero, in caso di impossibilità, alla confisca obbligatoria di beni di cui il reo abbia la disponibilità, anche indirettamente o per interposta persona, per un valore corrispondente al prodotto, prezzo o profitto (cosiddetta «confisca per equivalente»). Resta ferma, in tutti i casi, l'esclusione della confisca delle cose che appartengano a persona estranea al delitto.
Nella medesima materia interviene anche la novella di cui all'articolo 5 del disegno di legge. Integrando la formulazione dell'articolo 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992, convertito con modificazioni, dalla legge n. 356 del 1992, viene aggiunto il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro tra i reati per i quali (in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti) è sempre disposta la confisca obbligatoria del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità, a qualsiasi titolo, in valore sproporzionato al proprio reddito (dichiarato ai fini delle imposte sul reddito) o alla propria attività economica.
L'articolo 3 prevede – come misura cautelare reale – il possibile controllo giudiziario dell'azienda nel corso del procedimento penale per il reato di caporalato. Tale disposizione, conseguenza dell'estensione del reato anche al datore di lavoro, stabilisce – in luogo del sequestro preventivo di cui all'articolo 321 del codice di procedura penale – l'adozione da parte del giudice di tale misura (presso l'azienda ove è commesso il reato di cui all'articolo 603-bis del codice penale) quando l'interruzione dell'attività conseguente al sequestro possa compromettere i livelli occupazionali e diminuirne il valore economico. Con il decreto che dispone la misura, il giudice nomina uno o più amministratori giudiziari esperti in gestione aziendale, scegliendoli tra gli iscritti all'albo degli amministratori giudiziari. L'articolo detta una specifica disciplina degli obblighi degli amministratori, con particolare riferimento ai controlli sulle condizioni di lavoro, alla regolarizzazione dei lavoratori che, all'atto dell'avvio del procedimento penale per caporalato, prestavano la propria opera in nero nonché alle misure di prevenzione della reiterazione delle violazioni. Viene, infine, previsto che, nei casi di sequestro di beni di cui è consentita la confisca ai sensi dell'articolo 321, comma 2, del codice di procedura penale (quindi se la misura ablatoria può essere disposta indipendentemente dalle condizioni di applicazione del sequestro preventivo di cui al comma 1: pericolo che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati) e nei casi di confisca obbligatoria disposta exarticolo 603-bis.2 del codice penale (introdotto dall'articolo 2 del disegno di legge), si applica la disciplina del comma 4-bisdell'articolo 12-sexies del citato decreto-legge n. 306 del 1992. Ne conseguirebbe, pertanto, per tali beni l'applicazione della disciplina del Codice antimafia in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati secondo cui, nell'amministrazione dei beni, il giudice è coadiuvato dall'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
L'articolo 4 modifica l'articolo 380 del codice di procedura penale aggiungendo il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro commesso con violenza e minaccia tra quelli per cui è obbligatorio l'arresto in flagranza.
Con l'articolo 6 viene aggiunto il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro tra quelli per i quali è prevista la responsabilità amministrativa degli enti, di cui al decreto legislativo n. 231 del 2001. Come noto, la disciplina di cui al citato decreto legislativo n. 231 concerne gli enti, società e associazioni (anche prive di personalità giuridica) privati, nonché gli enti pubblici economici, i quali sono responsabili (sulla base della specifica normativa) sotto il profilo amministrativo, per i reati commessi da determinati soggetti nell'interesse o a vantaggio dell'ente (o società o associazione). La sanzione pecuniaria a carico dell'ente «responsabile» del reato di caporalato è stabilita tra 400 quote e 1.000 quote (articolo 25-quinquies); si ricorda che l'importo di una quota va da un minimo di 258 a un massimo di 1.549 euro.
L'articolo 7 modifica l'articolo 12 della legge n. 228 del 2003 prevedendo l'assegnazione al Fondo anti-tratta dei proventi delle confische ordinate a seguito di sentenza di condanna o di patteggiamento per il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cui all'articolo 603-bis del codice penale. La novella comporta, ai sensi del comma 2-bis dell'articolo 12, la destinazione delle risorse del Fondo anche all'indennizzo delle vittime del reato di caporalato.
Il testo è volto a garantire una maggior efficacia all'azione di contrasto del caporalato, introducendo significative modifiche al quadro normativo penale e prevedendo specifiche misure di supporto dei lavoratori stagionali in agricoltura.
Le principali novità dell'intervento normativo riguardano: la riscrittura del reato di caporalato (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro), che introduce la sanzionabilità anche del datore di lavoro; l'applicazione di un'attenuante in caso di collaborazione con le autorità; l'arresto obbligatorio in flagranza di reato; il rafforzamento dell'istituto della confisca; l'adozione di misure cautelati relative all'azienda agricola in cui è commesso il reato; l'estensione alle persone giuridiche della responsabilità per il reato di caporalato; l'estensione alle vittime del caporalato
delle provvidenze del Fondo antitratta; il potenziamento della Rete del lavoro agricolo di qualità, in funzione di strumento di controllo e prevenzione del lavoro nero in agricoltura; il graduale riallineamento delle retribuzioni nel settore agricolo.
Mi limiterò a illustrare i primi sette articoli che compongono il testo, in quanto si tratta delle disposizioni che attengono principalmente alla competenza della Commissione Giustizia, mentre sulle restanti disposizioni, che rientrano nella competenza della XI Commissione, si soffermerà il relatore per tale Commissione, onorevole Miccoli.
In particolare mi soffermerò sulle questioni sorte in Commissione in merito alla modifica dell'articolo 603-bis del codice penale, rimandando alla relazione scritta per le altre parti del testo rientranti comunque nella competenza della Commissione giustizia.
Preliminarmente vorrei sottolineare già in questo momento che le critiche al testo approvato dal Senato sono superabili in via interpretativa anche facendo ricorso alla stessa giurisprudenza della Corte di cassazione in relazione ad elementi della fattispecie, quali lo sfruttamento e lo stato di bisogno.
L'articolo 1 detta una nuova formulazione dell'articolo 603-bis del codice penale relativo all'intermediazione illecita e allo sfruttamento del lavoro, che attualmente punisce il cosiddetto «caporalato».
Il nuovo articolo 603-bis prevede, infatti, al primo comma, una prima ipotesi che riscrive la condotta illecita del caporale ovvero di chi recluta manodopera per impiegarla presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno. È soppresso il riferimento allo «stato di necessità». Rispetto alla fattispecie vigente, è introdotta una fattispecie-base che prescinde da comportamenti violenti, minacciosi (diventati circostanze aggravanti) o intimidatori: non compare più il richiamo allo svolgimento di un'attività organizzata di intermediazione né il riferimento all'organizzazione dell'attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento.
Inoltre, è sanzionato il datore di lavoro che utilizza, assume o impiega manodopera reclutata anche mediante l'attività di intermediazione, sfruttando i lavoratori ed approfittando del loro stato di bisogno. Tale fattispecie-base del delitto di intermediazione illecita è punita con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 500 a 1.000 euro per ogni lavoratore reclutato.
Il secondo comma del nuovo articolo 603-bis prevede un'aggravante caratterizzata dall'esercizio di violenza o minaccia. Le sanzioni rimangono invariate rispetto a quanto ora previsto dalla fattispecie-base: reclusione da 5 a 8 anni e multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.
Il terzo comma del nuovo articolo 603-bis riguarda le condizioni ritenute indice di sfruttamento dei lavoratori.
Per quanto concerne la fattispecie criminosa di cui all'articolo 603-bis n. 2 del codice penale, va rilevato che esse è stata oggetto di critiche da parte di coloro che ritengono che possa essere applicata, ad esempio, anche a casi di singole e saltuarie violazioni delle norme sulla sicurezza del lavoro o degli orari di lavoro, si è fatto più volte riferimento al mancato utilizzo delle prescritte scarpe da lavoro. Così non è.
In primo luogo, per quanto attiene alla nuova descrizione degli elementi oggettivi del reato, si fa presente che il provvedimento normativo in esame ha lo scopo di superare i dubbi interpretativi evidenziati in dottrina in ordine alla possibilità di estendere l'incriminazione anche al datore di lavoro per le condotte di sfruttamento dei lavoratori con approfittamento dello stato di bisogno.
Proprio per eliminare tali criticità interpretative, la formulazione proposta dal disegno di legge distingue la condotta di chi «recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori» (articolo 603-bis, comma 1, n. 1) da quella di chi «utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l'attività di intermediazione di cui al n. 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno» (articolo 603-bis, comma 1 n. 2).
Così espressamente specificando che integra reato sia la condotta di mediazione illecita tra domanda e offerta di lavoro, sia quella di sfruttamento del lavoro stesso.
L'attribuzione di rilevanza penale allo sfruttamento della manodopera anche in assenza di attività di cosiddetta caporalato colma una lacuna dell'attuale sistema penale, che lascia privi di tutela i lavoratori che non siano immigrati irregolari.
L'articolo 22 comma 12-bis del Testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998) infatti, punisce con sanzioni penali aggravate, il datore di lavoro che occupi alle proprie dipendenze – non importa se avviati al lavoro mediante «caporale» o meno – lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno ovvero con il permesso scaduto, revocato o annullato, quando i lavoratori siano sottoposti alle condizioni di particolare sfruttamento di cui all'attuale terzo comma dell'articolo 603-biscodice penale. E allora, il lavoratore straniero irregolare, che sia sfruttato dal datore di lavoro in modo da essere esposto a situazioni di grave pericolo, è tutelato con una previsione penale che incrimina il datare di lavoro, a prescindere dall'esistenza o meno a monte di un'illecita intermediazione, mentre il lavoratore non straniero irregolare, ma parimenti sfruttato, non trova oggi una adeguata considerazione se non per il caso in cui sia stato avviato al lavoro in forza detta mediazione del cosiddetto caporale. Si comprende bene così come sia importante rimodellare la previsione incriminatrice dell'articolo 603-bis codice penale per rimediare ad una irragionevole limitazione del suo ambito operativo.
A coloro che criticano la nuova formulazione del reato probabilmente sfugge un dato di fondamentale importanza: gli elementi che caratterizzano la condotta, in entrambi i casi, sono lo sfruttamento del lavoratore e l'approfittamento dello stato di bisogno del medesimo, quale modalità attraverso cui si realizza lo sfruttamento stesso.
Le nozioni di sfruttamento e di stato di bisogno debbono dunque essere intese in stretta connessione tra loro, costituendo la situazione di vulnerabilità di chi versa in stato di bisogno il presupposto della condotta approfittatrice del soggetto agente, attraverso la quale realizzare lo sfruttamento.
Il concetto di sfruttamento, pertanto, deve essere ricondotto a quei comportamenti, anche se posto in essere senza violenza o minaccia, idonei ad inibire e limitare la libertà di autodeterminazione della vittima mediante l'approfittamento dello stato di bisogno in cui versa.
Al riguardo la Corte di cassazione (C.C. Sez 5, sentenza n. 14591 del 4.4.2014) ha avuto modo di chiarire che il delitto di cui all'articolo 603-bis c.p. «è finalizzato a sanzionare quei comportamenti che non si risolvono nella mera violazione delle regole poste dal decreto legislativo n. 276 del 2003, senza peraltro raggiungere le vette dello sfruttamento estremo, di cui alla fattispecie prefigurata dall'articolo 600 c.p., come confermato dalla clausola di sussidiarietà con la quale si apre la previsione».
Si consideri poi che la nozione di sfruttamento implica concettualmente una compressione, meglio: una violazione, temporalmente apprezzabile dei beni interessi tutelati. Non si sfrutta il lavoratore con un unico singolo atto, ma attraverso condotte che ne conculcano per una durata significativa i diritti fondamentali che vengono in gioco nel momento in cui viene prestata l'attività lavorativa.
Occorre che la condotta datoriale si sviluppi nel tempo, che integri, appunto, una situazione di fatto duratura. Per questa ragione non v’è necessità di specificare, nella parte dedicata agli indici di sfruttamento, che la reiterata violazione, la reiterata corresponsione di retribuzione sproporzionata non possano consistere nella commissione di quei fatti anche soltanto per due volte. Occorre leggere il «reiterate» unitamente all'elemento oggettivo centrale dello sfruttamento che, per sua struttura di disvalore, non può consumarsi con singoli occasionali atti. Specularmente alla nozione di sfruttamento, quella di stato di bisogno non si identifica, secondo l'interpretazione offerta anche dalla giurisprudenza in particolare con riferimento alla circostanza aggravante del delitto di usura, con il bisogno di lavorare per vivere, ma presuppone «uno stato di necessità tendenzialmente irreversibile, che, pur non annientando in modo assoluto qualunque libertà di scelta, comporta un impellente assillo, tale da compromettere fortemente la libertà contrattuale» della persona.
Un altro punto da chiarire assolutamente in quanto ha suscitato una serie di equivoci, dovuti anche alla mancata conoscenza della legislazione vigente gli indici di sfruttamento, già previsti dal vigente articolo 603-bis.
Gli indici sono «sintomi», indizi che il giudice dovrà valutare, se corroborati dagli elementi di sfruttamento e approfittamento dello stato di bisogno e non condotte immediatamente delittuose.
Si tratta della stessa situazione che accade oggi quando la guardia di finanza entra in un'azienda per violazioni tributarie e trova i libri contabili non in ordine: quello è un indizio (indice), che non integra di per sé il reato di frode fiscale. Le condizioni richiamate dall'articolo, in altre parole, costituiscono mero indicatore dell'esistenza dei fatti oggetto di incriminazione, di cui il giudice deve tenere conto nell'accertamento della verità, ma certamente non si identificano con gli elementi costitutivi del reato. Esemplificando, la violazione delle disposizioni in tema di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro non è di per sé capace di integrare la condotta del delitto, occorrendo comunque che il lavoratore risulti sfruttato e che del suo stato di bisogno il datore di lavoro abbia profittato.
Il legislatore, con l'elencazione degli indici di sfruttamento, semplicemente agevola i compiti ricostruttivi del giudice, orientando l'indagine e l'accertamento in quei settori (retribuzione, condizioni di lavoro, condizioni alloggiative, ecc.) che rappresentano gli ambiti privilegiati di emersione di condotte di sfruttamento e di approfittamento.
A tal proposito, si è detto molto opportunamente in dottrina che gli indici svolgono una funzione di «orientamento probatorio» per il giudice: ed è per tale ragione che non ha fondamento il rilievo critico circa l'asserito difetto di determinatezza della norma che li descrive o circa la loro presunta incompletezza.
In particolare, il testo del disegno di legge ha rivisitato la disposizione relativa alla sussistenza di violazioni in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, espungendo l'inciso finale «tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l'incolumità personale». È bene chiarire subito che l'eliminazione di tale inciso non indebolisce la forza selettiva della norma incriminatrice, ossia la sua capacità di qualificare soltanto le condotte realmente meritevoli di punizione.
Se, infatti, si tiene presente che le norme sugli indici di sfruttamento non descrivono il fatto tipico e non riguardano dunque le condotte costitutive del delitto, si comprende pienamente che non c’è alcun pericolo che la modifica possa portare ad un eccesso di penalizzazione, colpendo anche comportamenti dei datori di lavoro che non si segnalino per un particolare disvalore.
In questo senso, anzi, l'eliminazione del riferimento al pericolo per salute, sicurezza ed incolumità personale giova a evitare il rischio di un fraintendimento interpretativo: se si carica la disposizione di orientamento probatorio di un elemento che autonomamente denota un significativo disvalore, si può ingenerare l'equivoco che essa contenga almeno una parte della condotta costitutiva del reato, data dallo sfruttamento della manodopera.
Si evita, insomma, il rischio che si possa ritenere la sussistenza dello sfruttamento per il solo fatto che sia stata violata una disposizione in materia di sicurezza o igiene sul lavoro, quasi che la contravvenzione ad una delle tante disposizioni volte appunto a prevenire rischi per la sicurezza dei lavoratori, possa integrare la condotta, di ben altro disvalore penale, dello sfruttamento di manodopera.
Per quanto attiene alle altre disposizioni del testo rientranti nella competenza della Commissione giustizia, rimandando alla relazione scritta che chiedo di depositare, in questa sede mi limito a rilevare che l'attenuante della collaborazione (pena diminuita fino a due terzi) utilizza il modello già sperimentato nella normativa anticorruzione e in quella sugli eco-reati. I reati di caporalato, corruzione e disastro/inquinamento ambientale sono infatti fenomeni accomunati, sotto il profilo delle indagini e del contrasto, da una fitta rete omertosa che ne rende difficile l'emersione e la scoperta. L'attenuante è strumento di rottura dell'omertà diretto a incoraggiare chi aiuta a scoprire certe realtà.
Quanto al controllo giudiziale, è ripreso ed è in sintonia con quanto previsto in uno dei provvedimenti già approvati, riguardanti l'Anac, e nella riforma del codice antimafia (già approvata dalla Camera e ora al Senato), relativamente alle aziende confiscate alla criminalità organizzata: risponde al principio che l'intervento dello Stato non può e non deve coincidere con la chiusura dell'azienda. Il ripristino della legalità, anzi, deve accompagnarsi al rilancio dell'azienda e al mantenimento dei posti di lavoro.
L'articolo 2 del disegno di legge aggiunge al codice penale gli articoli 603-bis.1 e 603-bis.2, relativi ad attenuanti del delitto di caporalato e ad ipotesi di confisca obbligatoria. L'articolo 603-bis.1 ridefinisce per il reato di caporalato, rispetto alla disciplina vigente dell'articolo 600-septies.1, relativa a tutti i delitti contro la personalità individuale, l'ipotesi di circostanza attenuante specifica. L'attenuante, nella nuova formulazione, concerne i soggetti che si siano efficacemente adoperati per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove dei reati o per l'individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite.
Sostanzialmente, rispetto all'attuale attenuante di cui all'articolo 600-septies.1: si introduce l'ipotesi di elementi utili «per il sequestro delle somme o altre utilità»; si precisa – eliminando il riferimento al «concorrente» – che l'attenuante è riconosciuta nei confronti di chiunque collabori; la più specifica definizione della condotta che dà luogo all'attenuante appare conseguenza della riformulazione del reato e della sua estensione al datore di lavoro (si pensi al caso dell'imprenditore coinvolto in procedimento penale per caporalato che possa riferire notizie utili alle indagini su altri episodi di intermediazione illecita relativi ad altre imprese o fruitori di manodopera); aumenta lo sconto di pena che diventa da un terzo a due terzi (attualmente è da un terzo alla metà).
L'articolo 603-bis.1 rinvia poi alle norme previste dall'articolo 16-septies del decreto-legge n. 8 del 1991, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 82 del 1991, che prevedono la revisione della sentenza quando le circostanze attenuanti sono state applicate per effetto di dichiarazioni false o reticenti. L'applicazione dell'attenuante specifica di cui all'articolo 603-bis.1 esclude l'applicazione della citata attenuante, meno favorevole, prevista dal citato articolo 600-septies.1 per chi si adoperi per evitare di portare il reato a conseguenze ulteriori o aiuta la magistratura nella cattura dei concorrenti. L'articolo 603-bis.2 inserisce il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro tra i reati per i quali (in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti) è obbligatoria – anziché un'ipotesi valutata dal giudice – la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato. La novella fa riferimento anche alla confisca obbligatoria delle cose che siano il prezzo, il prodotto o il profitto del reato – ovvero, in caso di impossibilità, alla confisca obbligatoria di beni di cui il reo abbia la disponibilità, anche indirettamente o per interposta persona, per un valore corrispondente al prodotto, prezzo o profitto (cosiddetta «confisca per equivalente»). Resta ferma, in tutti i casi, l'esclusione della confisca delle cose che appartengano a persona estranea al delitto.
Nella medesima materia interviene anche la novella di cui all'articolo 5 del disegno di legge. Integrando la formulazione dell'articolo 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992, convertito con modificazioni, dalla legge n. 356 del 1992, viene aggiunto il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro tra i reati per i quali (in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti) è sempre disposta la confisca obbligatoria del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità, a qualsiasi titolo, in valore sproporzionato al proprio reddito (dichiarato ai fini delle imposte sul reddito) o alla propria attività economica.
L'articolo 3 prevede – come misura cautelare reale – il possibile controllo giudiziario dell'azienda nel corso del procedimento penale per il reato di caporalato. Tale disposizione, conseguenza dell'estensione del reato anche al datore di lavoro, stabilisce – in luogo del sequestro preventivo di cui all'articolo 321 del codice di procedura penale – l'adozione da parte del giudice di tale misura (presso l'azienda ove è commesso il reato di cui all'articolo 603-bis del codice penale) quando l'interruzione dell'attività conseguente al sequestro possa compromettere i livelli occupazionali e diminuirne il valore economico. Con il decreto che dispone la misura, il giudice nomina uno o più amministratori giudiziari esperti in gestione aziendale, scegliendoli tra gli iscritti all'albo degli amministratori giudiziari. L'articolo detta una specifica disciplina degli obblighi degli amministratori, con particolare riferimento ai controlli sulle condizioni di lavoro, alla regolarizzazione dei lavoratori che, all'atto dell'avvio del procedimento penale per caporalato, prestavano la propria opera in nero nonché alle misure di prevenzione della reiterazione delle violazioni. Viene, infine, previsto che, nei casi di sequestro di beni di cui è consentita la confisca ai sensi dell'articolo 321, comma 2, del codice di procedura penale (quindi se la misura ablatoria può essere disposta indipendentemente dalle condizioni di applicazione del sequestro preventivo di cui al comma 1: pericolo che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati) e nei casi di confisca obbligatoria disposta exarticolo 603-bis.2 del codice penale (introdotto dall'articolo 2 del disegno di legge), si applica la disciplina del comma 4-bisdell'articolo 12-sexies del citato decreto-legge n. 306 del 1992. Ne conseguirebbe, pertanto, per tali beni l'applicazione della disciplina del Codice antimafia in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati secondo cui, nell'amministrazione dei beni, il giudice è coadiuvato dall'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
L'articolo 4 modifica l'articolo 380 del codice di procedura penale aggiungendo il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro commesso con violenza e minaccia tra quelli per cui è obbligatorio l'arresto in flagranza.
Con l'articolo 6 viene aggiunto il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro tra quelli per i quali è prevista la responsabilità amministrativa degli enti, di cui al decreto legislativo n. 231 del 2001. Come noto, la disciplina di cui al citato decreto legislativo n. 231 concerne gli enti, società e associazioni (anche prive di personalità giuridica) privati, nonché gli enti pubblici economici, i quali sono responsabili (sulla base della specifica normativa) sotto il profilo amministrativo, per i reati commessi da determinati soggetti nell'interesse o a vantaggio dell'ente (o società o associazione). La sanzione pecuniaria a carico dell'ente «responsabile» del reato di caporalato è stabilita tra 400 quote e 1.000 quote (articolo 25-quinquies); si ricorda che l'importo di una quota va da un minimo di 258 a un massimo di 1.549 euro.
L'articolo 7 modifica l'articolo 12 della legge n. 228 del 2003 prevedendo l'assegnazione al Fondo anti-tratta dei proventi delle confische ordinate a seguito di sentenza di condanna o di patteggiamento per il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cui all'articolo 603-bis del codice penale. La novella comporta, ai sensi del comma 2-bis dell'articolo 12, la destinazione delle risorse del Fondo anche all'indennizzo delle vittime del reato di caporalato.